2017
In viaggio tra l’organico e l’universo
Chi e’ Meggiato? Artista, non solo: filosofo, studioso, alchimista, artigiano, scienziato in grado di riportare in scultura un repertorio formale di catalogazione simbolica e rappresentazione astratta dell’universo. Immergersi nella dimensione mistica veneziana, attraverso fusioni in bronzo, intarsi, marmi e pietre, equivale a perdersi nella coreografia cellulare di evanescenze luminose organizzate in pose ieratiche, astratte, a volte accoglienti, altre sfuggenti, fossili di un tempo lontano raggiunti per magia da nuova vita. Un tempo e una vita nella quale è facile riconoscersi perché si riferiscono entrambi alla materia di cui siamo fatti e all’idea verso cui tendiamo, con sfere come nuclei, labirinti come membrane, estroflessioni e introflessioni viscerali. E’ una materia organica, quella di Meggiato, che riesce a diventare nobile, un’entità estremamente familiare e squisitamente arcana, un essere che vive nella dualità propria dell’uomo, la stessa di cui si compone l’universo e verso la quale, per destino, siamo inesorabilmente attratti.
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In viaggio tra l’organico e l’universo
“Una celebrazione della vita e della grande storia del cosmo”. Così il regista americano Terrence Malick annunciava l’uscita del suo ultimo film, durante la scorsa Mostra del Cinema di Venezia, una gestazione di oltre quattro decadi ridotta in una forma cinematografica della durata di appena un’ora e mezza, corrispondenti a un viaggio emozionale alla ricerca delle origini dell’universo. L’ambizioso film è “Voyage of Time” (2016), un documentario kolossal a metà tra il progetto epico e il trattato scientifico, arricchito da spunti estetici, filosofici, riferimenti alla storia dell’arte e dell’umanità, capace di indagare la materia microscopica e quella cosmica, mettendole in uno stretto nesso simbolico oltre che iconico. Le vertigini provate dallo spettatore di fronte alle straordinarie immagini proiettate sul grande schermo sintetizzano il desiderio atavico di ristabilire un rapporto con un altrove, temporale e spaziale, che prescinde dal quotidiano e cerca ragioni piu’ profonde e alte, nella genesi del mondo.
Al centro dell’articolato plot è dunque il tema della vita e il principio della nascita, sia una pura definizione di fenomeni di natura fisica, dentro le vicende geologiche, naturali e ambientali di cui si compone la storia dell’universo, sia quella più squisitamente metafisica, secondo il disegno dell’origine per mano di un credo religioso. Quello delle Sacre Scritture, ad esempio, che assume la forma di un libro di alta poesia riguardante non tanto (e non solo) la nascita del globo terrestre ma soprattutto il suo meccanismo di creazione e le sue leggi, al centro del quale l’uomo e il suo principio di dualità e’ il protagonista. L’unità degli opposti – luce e tenebre, vita e morte, cielo e terra, uomo e donna – ha luogo attraverso l’azione elementare della separazione: nel libro della Genesi è la coscienza umana a essere in grado di scindere il bello (il bene) e di generare automaticamente la categoria del brutto (il male), validando una legge universale riferibile a ogni materia o concetto, che promuove l’armonia degli opposti come pratica per attribuire sostanza alle cose del mondo.
Tutto il lavoro scultoreo di Gianfranco Meggiato è un inno alla vita, a quell’idea di nucleo primigenio che sta alla base di teorie matematico-fisiche e che fornisce indicazioni sull’origine dell’universo, sia in senso mistico sia ateo. Il vuoto da’ forma al pieno attraverso un’alternanza di astrazioni e figure geometriche, di sfere e reticoli, in un continuo rimando tra l’io e l’universo.
I suoi modelli si autogenerano l’uno nell’altro, identificando il bisogno di sviluppare nell’azione plastica un preciso valore iconografico, strutturato attraverso l’utopia scientifica che guarda al cosmo relazionandolo con l’animo umano e le sue pulsioni più viscerali. Sono torsioni, tensioni, spinte materiche e condensati solidi di un sentire liquido; spaziano da ideologie cosmiche a sistemi biologici, si riferiscono a campi magnetici e disegni di orbite a partire da membrane organiche, terrestri o cellulari, riportate – attraverso la scelta dei materiali – in forme simboliche e finite. Sono metafore dell’uomo che, come scrive Meggiato “è un essere spirituale momentaneamente chiuso in un corpo fisico”.
Così le sue sculture raccontano la grande storia del cosmo indagando lo spazio macro e microscopico dell’universo, le sue fattezze e le sue forme, chiamando in causa il saper fare della tecnica al servizio dell’idea. Ogni scultura è eseguita secondo il modello cinquecentesco del laboratorio di fonderia che passa attraverso azioni di cesello coordinate dal Maestro, l’unico in grado di veicolare il sapore ancestrale dei suoi modelli con la preziosità del metallo, delle maglie di bronzo brunito e verniciato (in bianco o in nero) e delle sfere luccicanti che ingloba (d’oro e d’argento). Nella complessa produzione di Meggiato c’è la sua abilità nell’adattare la norma in ardite peripezie estetiche. Passando dal calco del modello, attraverso la tecnica della fusione a cera persa e dopo diversi passaggi di cottura dell’originale, il metallo fuso prende la forma immaginata dall’artista, poi rifinita con processi di saldatura e cesellatura, alla maniera della tradizione orafa riportata qui nella grande scala della scultura.
“Genesis” è l’ultimo approdo di una ricerca che prosegue ininterrotta dagli anni Novanta, da quando Gianfranco Meggiato ha iniziato a esplorare la natura dei nuclei organici, della terra e dell’essere umano, di catene indissolubili di DNA e di gangli, alveoli e terminazioni biologiche. La mostra, ma sarebbe meglio definirla un più complesso progetto intellettuale, si configura dunque come una celebrazione della storia dall’universo e di tutta la materia vivente, di milioni, miliardi di cellule che formano strutture e organi dell’intero esistente, di piante, di animali, dei nostri stessi corpi. La cellula, miracolo della complessità di cui l’essere umano rappresenta la quintessenza, è la sofisticata architettura rappresentata da Gianfranco Meggiato, indagata nelle sue possibili varianti iconografiche e in tutte le eccezioni simboliche, fin dalla sua parte costituente, il nucleo, e dalla sua membrana protettrice dove è depositata la sequenza delle informazioni che definiscono le caratteristiche proprie di ciascun organismo. Nelle trame cellulari ingrandite in fascinosi pattern astratti, l’artista veneziano ritrova l’ideale soggetto delle sue sculture: c’è tutta la dinamica comportamentale della materia allo stato liquido, quello degli involucri incandescenti e concentrici della sfera terrestre congelata nell’istante esatto in cui da’ vita a suggestivi labirinti plastici simili a grovigli organici, di materia celebrale o molecolare. Queste visioni microscopiche della natura, a cavallo tra forma plastica e architettura, si nutrono di una visionarietà che nei titoli si espande in un universo ultraterreno, di ricerca trascendentale, che rivolge gli occhi al cielo per cercare risposta al mistero della creazione di cui ogni opera è segreto custode. Non è un caso dunque se Meggiato nomina le sue sfere e gli alveoli pensando alle costellazioni e all’astronomia, con riferimenti che vanno dalla cabala ebraica alla dottrina cristiana: “Alderaban”, tra le più antiche delle stelle, “Orione”, la più luminosa “Antares”, la stella supergigante rossa, insieme a una titolazione più mistica, come “Ascesi dell’anima”, “Il soffio della vita”, “Genesi bianca”, “Verso la libertà”, “Archetipo”.
Per questa nuova avventura espositiva – con oltre cinquanta opere di medie e grandi dimensioni – Gianfranco Meggiato torna a casa, nella sua Venezia, città natale e di formazione, dove non ancora diciottenne realizzava la prima opera giovanile, quel pannello di pietra intagliato in arditi frattali nei quali si ritrova oggi la cifra stilistica di gran parte della sua carriera. A ospitare il suo progetto è la Scuola Nuova della Misericordia, una delle sei “grandi scuole” della Serenissima, edificio disegnato dal Sansovino per riunire categorie di artigiani nell’elegante navata del pianterreno. Qui, tra le ampie colonne binate in pietra che scandiscono il salone e gli affreschi della bottega del Veronese, trova posto un intenso excursus della sua carriera più recente; qui Meggiato si misura con la scala monumentale dell’architettura cinquecentesca, sia interna sia esterna. E sappiamo bene quanto sia ardua l’impresa, la sfida, di far incontrare il contemporaneo con la memoria storica.
Chi e’ Meggiato? Artista, non solo: filosofo, studioso, alchimista, artigiano, scienziato in grado di riportare in scultura un repertorio formale di catalogazione simbolica e rappresentazione astratta dell’universo. Immergersi nella dimensione mistica veneziana, attraverso fusioni in bronzo, intarsi, marmi e pietre, equivale a perdersi nella coreografia cellulare di evanescenze luminose organizzate in pose ieratiche, astratte, a volte accoglienti, altre sfuggenti, fossili di un tempo lontano raggiunti per magia da nuova vita. Un tempo e una vita nella quale è facile riconoscersi perché si riferiscono entrambi alla materia di cui siamo fatti e all’idea verso cui tendiamo, con sfere come nuclei, labirinti come membrane, estroflessioni e introflessioni viscerali. E’ una materia organica, quella di Meggiato, che riesce a diventare nobile, un’entità estremamente familiare e squisitamente arcana, un essere che vive nella dualità propria dell’uomo, la stessa di cui si compone l’universo e verso la quale, per destino, siamo inesorabilmente attratti.
Luca Beatrice
2011
SCULTURA LIQUIDA
(…) Elementi plastici che dovrebbero essere la sintesi formale delle azioni dell’uomo a contatto con gli ingranaggi di questa società, dove è necessaria volontà, forza, ottimismo, semplicità, chiarezza.
Pietro Consagra
Ho una nuova passione per i Musei di Scienze Naturali, contenitori antitempo che collezionano le più antiche, enormi o microscopiche, specie animali e vegetali, attraversando i campi scientifici della zoologia, della botanica, mineralogia, della geologia e della paleontologia. Nel museo di Torino, oltre a forme biologiche e abiologiche, si trovano impilate incredibili sezioni di entomologia e ornitologia: sono nell’insieme invisibili città di insetti e segrete collezioni di nidi di volatili che metterebbero in ginocchio qualsiasi professionista in materia di unità abitative e architetture sociali.
Guardando agli alveari attorcigliati e ai nuclei di energia materica di Gianfranco Meggiato, ritrovo quella stessa compostezza unitaria e un’uguale forza entropica, di contenere un caos naturale entro forme che sono generate da quello stesso caos. La frammentazione dell’unità cellulare delle sculture di Meggiato è protetta da una tensione materica di forme a un primo sguardo familiari. Lo sono forse proprio per quella naturale aderenza a un’architettura biologica primordiale, a cellule e nuclei, di implosioni ed esplosioni, catene di dna e viscere magmatiche e corporali.
Ammiro l’abilità di “mani” creative, quelle di insetti e uccelli, in grado di elaborare soluzioni di umana possibilità, così come ammiro la capacità di un artista di entrare così a fondo nella materia da riuscire a immortalarne la fluidità seppur nella fissità del bronzo.
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SCULTURA LIQUIDA
(…) Elementi plastici che dovrebbero essere la sintesi formale delle azioni dell’uomo a contatto con gli ingranaggi di questa società, dove è necessaria volontà, forza, ottimismo, semplicità, chiarezza.
Pietro Consagra
Ho una nuova passione per i Musei di Scienze Naturali, contenitori antitempo che collezionano le più antiche, enormi o microscopiche, specie animali e vegetali, attraversando i campi scientifici della zoologia, della botanica, mineralogia, della geologia e della paleontologia. Nel museo di Torino, oltre a forme biologiche e abiologiche, si trovano impilate incredibili sezioni di entomologia e ornitologia: sono nell’insieme invisibili città di insetti e segrete collezioni di nidi di volatili che metterebbero in ginocchio qualsiasi professionista in materia di unità abitative e architetture sociali.
Guardando agli alveari attorcigliati e ai nuclei di energia materica di Gianfranco Meggiato, ritrovo quella stessa compostezza unitaria e un’uguale forza entropica, di contenere un caos naturale entro forme che sono generate da quello stesso caos. La frammentazione dell’unità cellulare delle sculture di Meggiato è protetta da una tensione materica di forme a un primo sguardo familiari. Lo sono forse proprio per quella naturale aderenza a un’architettura biologica primordiale, a cellule e nuclei, di implosioni ed esplosioni, catene di dna e viscere magmatiche e corporali.
Ammiro l’abilità di “mani” creative, quelle di insetti e uccelli, in grado di elaborare soluzioni di umana possibilità, così come ammiro la capacità di un artista di entrare così a fondo nella materia da riuscire a immortalarne la fluidità seppur nella fissità del bronzo.
Non per nulla Meggiato utilizza la tecnica della fusione a cera persa: modella i suoi “nidi” e poi li fa solidificare in un calco metallico che prende il posto del primo stampo ora liquefattosi.
Le terminazioni nervose del contenuto sono intrappolate nel contenitore e viceversa. In un equilibrio di pieni e di vuoti, di torsioni di linee, di solidità di volumi. Alveoli che contengono sfere e quadrati che disperdono i loro angoli in filamenti di codici genetici.
Si scompongono, senza mai rompersi, si tirano e stirano, invogliano a guardare “dentro”, a spingere una mano, a trattenere per un attimo il nucleo. Mostrato e non svelato. La semplicità dell’interno è componente esistenziale per la complessità dell’esterno.
Gianfranco Meggiato è uno scultore classico, in seno alla tecnica, ma le sue forme fluide, che trovano posto tra i solidi geometrici -piramide, sfera, cilindro e cubo- annunciano il superamento dell’antitesi tra astrazione e figurazione in un lessico universale perché d’ordine cosmico. Il classicismo si mischia allora a un sapore fantascientifico e a una sintesi estetica che trapassa la fisica per sfociare nella filosofia.
L’astronave di Ra, nel primo capitolo della saga moderna di Sci-Fi inaugurato dal regista Ronald Emmerich con Stargate (1994) aveva la forma di una piramide che attraversando il cosmo e atterrando sul pianeta di Abydos avrebbe dovuto riaprire la “porta delle stelle”. Un po’ fantascientifiche, e ugualmente classiche, le forme di Meggiato mirano a ricongiungere le teorie primordiali d’ordine cosmico con la complessità poetica dello spirito umano.
Ci sono i simboli della vita e della fecondità, l’uovo, e quelli tantrici di una ricongiunzione di equilibri fisici con quelli mentali, il nirvana della filosofia buddista. La ricerca della perfezione, in senso metafisico, si manifesta nei totem intesi come ascesi, elevazione materica verso l’alto. Nient’altro che la summa della volontà creativa, una propensione a sconfiggere le leggi gravitazionali per assurgere a una dimensione mentale prima che fisica.
Meggiato trova un equilibrio di geometrie esterne che si rapportano ai meccanismi interni dei volumi, riportando così al mezzo scultoreo la capacità di tradurre in forme un’idea e una poetica semplicemente abbozzate.
Vortice, energia, ascesi, tensione, sono le parole chiavi del suo lessico artistico. Compaiono nei titoli oppure sono il sottotitolo immaginario per comprendere la sua ricerca estetica. Colonne e sfere, coni e totem, si squarciano e si tagliano nella perfezione liscia e riflettente del bronzo. Potrebbero essere rimpiccioliti in microsculture che parrebbero gioielli di una qualche abile tradizione orafa. Ma Meggiato preferisce l’unicità scultorea e rifiuta l’idea di multiplo.
I suoi maestri sono Leoncillo, che trattava la ceramica come lava incandescente raffreddata in forme di alberi o di corpi percorsi da tagli netti, le architetture bidimensionali di Pietro Consagra, modulari e sovrapposte in lastre dai contorni fluidi, e il primitivismo relativista di Sangregorio.
La tradizione bronzea dei fratelli Pomodoro, Giò e Arnaldo, così geometrica e spigolosa, è trattata con uguale abilità da Meggiato che predilige però il vuoto al pieno e prova l’operazione inversa degli scultori milanesi: dare forma al contenitore facendolo implodere o esplodere in maniera si composta, ma più emozionale. Non c’è calcolo formale nell’estetica di Meggiato, la sua linea è sinuosa e più viscerale.
Sarà per la tradizione veneziana dalla quale proviene, quella dei maestri artigiani del vetro soffiato innanzitutto e della ceramica. Meggiato tratta le forme proprio come lava incandescente di silicio cristallizzata.
Sculture che tentano di fuoriuscire dal calco ma ne restano inviluppate in grovigli densi e magmatici.